/Data
17.1.2023
/Titolo
La passione per il rinnovamento
/Autore
Annalisa Magone
/Risorse
• Il saggio La passione per il rinnovamento (Marsilio 2022)
/Tag
competenze, impresa ibrida, innovazione, lavoro
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Lo scorso anno, Fabio Storchi, presidente di Federmeccanica dal 2013 al 2017, in collaborazione con Daniele Marini e Domenico Gribaudi, ha dato corpo al progetto di raccontare e condividere l’esperienza del rinnovo contrattuale unitario dell’industria metalmeccanica di cui fu indiscusso protagonista, anche iin ragione del metodo di lavoro individuato. A novembre 2022, per i tipi di Marsilio, è uscito in libreria La passione per il «rinnovamento». I miei anni in Federmeccanica, che raccoglie il punto di vista di alcuni proagnonisti di quella stagione, così come di alcuni specialisti in materia di relazioni sindacali e partecipazione.
Pubblichiamo qui un estratto dell’intervento di Annalisa Magone.
Qui tutto ciò che occorre sapere sul volume.
Nel 1987 usciva Contrattare alla Fiat (Edizioni Lavoro), intervista doppia a cura di Carlo Degiacomi a due protagonisti di quella stagione – Tom Dealessandri, responsabile del coordinamento sindacale alla Fiat, e Maurizio Magnabosco, responsabile delle relazioni industriali e interne a Fiat Auto. Sono trascorsi giusto dieci anni dall’accordo del 1977, gli albori di un sistema di relazioni industriali aziendali per la fabbrica di automobili di Torino, con i suoi potenziali riflessi sull’organizzazione del lavoro, sul riconoscimento reciproco delle parti, e sul grande capitolo degli investimenti nel Mezzogiorno.
Il libro è interessante anzitutto per l’impostazione, ovvero il confronto sistematico, domanda-e-risposta, fra voci di aree antagoniste, che si ritrovano anche su posizioni simili, se non identiche. Secondo Tiziano Treu, che scrisse la prefazione, questa sintonia era dovuta alla fiducia nel metodo contrattuale, manifestata non attraverso una difesa retorica ma dalle «reiterate ammissioni della sua fragilità, degli errori commessi, di quanto sia discontinuo e indeterminato il suo andamento». La fiducia nello strumento della contrattazione, così come un identico senso del limite, si ritrova nella stagione del Rinnovamento Contrattuale del 2016. Modello di lavoro prima che contratto, fu capace di introdurre un metodo nuovo nella rappresentanza d’impresa (la raccolta esplicita dei bisogni dal basso ), ma anche strumenti come il welfare contrattuale, il diritto soggettivo alla formazione, la revisione del sistema dell’inquadramento.
Nei quarant’anni che separano il 1977 dal 2016, non cambia soltanto il perimetro di applicazione – l’azienda più simbolica e complessa della metalmeccanica nel primo caso, il modello dell’impresa più veloce e territorialmente radicato nel secondo – ma anche la cultura della rappresentanza e la cultura organizzativa. Il tema della partecipazione (come la chiama il sindacato) o del coinvolgimento (come la chiama l’azienda) o del cuore (come dice Fabio Storchi) è la diretta conseguenza della fascinazione verso i sistemi organizzativi lean, il cui maggior merito è constatare che il conflitto non è necessariamente collocato fuori dall’impresa. L’architettura per processi serve a disinnescare la contrapposizione fra i dipartimenti della stessa macchina organizzativa, sospinti da obiettivi che non sono l’esito di una dinamica organica, piuttosto l’interesse del singolo reparto, squadra, individuo. Introdurre un sistema lean significa andare oltre le separazioni, ma soprattutto intendere la partecipazione come strumento di una concezione non verticistica, che finirebbe per legittimare due figure simbolo – il capo autoritario e il delegato conflittuale. Un sistema che non valorizza la presenza mediatrice del vero “azionista stabile” dell’azienda, lo stakeholder che da una proficua azione imprenditoriale riceve reddito, gratificazione e status. Il «mentedopera» descrito dal sociologo Daiele Marini inteso come attore politico.
Nella sua prefazione, Treu denunciava gli interrogativi sollevati dall’intervista e rimasti senza risposta, aprendo uno squarcio su un certo numero di problemi che restano tuttora irrisolti. Val la pena segnalarne due, eco di questioni terribilmente contemporanee. «Bisogna scambiare – dice Dealessandri – le esigenze delle flessibilità personali e familiari degli operai con quelle della produzione e realizzare forme di compensazione» mentre Magnabosco confida che «il miglioramento della qualità del lavoro e della professionalità dei dipendenti può rendere l’azienda meno estranea ai loro interessi e può sollecitare una nuova domanda di partecipazione». Come dire che l’impresa – bene terzo e sociale, che va ben oltre la proprietà del suo padrone – può modificare l’organizzazione pur mantenendola robusta; può riconoscere il valore della prestazione con modalità più articolate e profonde del solo salario. Infine, può favorire una forma di partecipazione responsabile, non sterilmente rivendicativa, la quale onestamente si attua se sussistono almeno due condizioni: il rispetto di tutti i ruoli con le relative prerogative e responsabilità; una simmetria informativa non troppo imperfetta.
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