/Data
29.10.2020
/Titolo
L'antidoto sociale
/Autore
Annalisa Magone
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/Tag
fondazioni bancarie, no profit, terzo settore
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«Al fianco delle istituzioni, ma orgogliosamente privati».
Massimo Lapucci
Fondazione Crt
«Organizzazioni con le porte aperte, dove tutti, anche i comuni cittadini, possano entrare per fare attività insieme».
Andrea Silvestri
Fondazione Crc
«Luoghi di sperimentazione, grande e piccola; li dove ci sono i buchi e non si finalizzano già altre risorse».
Alberto Anfossi
Fondazione Compagnia di San Paolo
Sono le risposte che ieri pomeriggio, sulla domanda di coda (quella a tradimento) negli ultimi minuti del talk L’antidoto sociale. La nuova attitudine delle fondazioni bancarie, Marco Panara ha chiesto a Massimo Lapucci, Andrea Silvestri e Alberto Anfossi – segretari generali rispettivamente della Fondazione Crt, Fondazione Crc e Fondazione Compagnia di San Paolo. La domanda era come si figurassero casa loro fra cinque anni. Prima li aveva accompagnati in una lunga intervista sul senso ultimo che le Fondazioni stanno assumendo, e sul ruolo di attore economico che via via si ritagliano fra le comunità in cui operano.
Questi enti, rassicuranti e stabili, si stanno profondamente modificando. Chi lavora nei settori della ricerca, della cultura o delle politiche sociali, ed è abbastanza vecchio da aver accumulato alcuni anni di progetti, sa che negli ultimi tempi tutto è cambiato. Per accedere a un sostegno, il progetto non va scritto solo in un certo modo, ma nel caso di progetti complessi e costosi va presentato qualcosa di molto simile a un business plan. Bisogna ammettere che si perde un bel po’ di freschezza a vantaggio della burocrazia, ma per altri versi la formalizzazione aiuta a capire se l’idea è solida, a guardarsi con occhi meno benevoli dei propri.
Peraltro le stesse Fondazioni stanno imparando. Mentre offrono a chi progetta addirittura corsi di formazione, per solidificare questa o quella capacità manageriale, la mia impressione è che questi enti riflettano sulla propria offerta, e sul modo di regolarla. E provano a mettersi in casa personale con competenze diverse rispetto al passato – così ha detto Anfossi a un certo punto del confronto.
Ciò che molti hanno predicato astrattamente negli ultimi anni, sta assumendo una ruvida concretezza: nessuno è autosufficiente, a meno che non sia davvero ottuso.
Come ho scritto altre volte su questo profilo, con i colleghi di Torinonordovest ci occupiamo prevalentemente di fabbriche; in questi luoghi, l’open innovation è una realtà della vita che non richiede neppure tante spiegazioni. Ma le cose cambiano quando voltiamo la testa e guardiamo dentro molti gruppi di ricerca, piccoli come noi o molto grandi, che accompagnano la coscienza del cambiamento in atto nella società e nelle economie.
Quando si fa da soli, il rischio di impegnarsi in indagini già indagate, pensieri già pensati, ricerche già ricercate è altissimo. Allora mi domando: perché diavolo dobbiamo farlo?
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L’antidoto sociale. La nuova attitudine delle fondazioni bancarie è stato il primo degli eventi online del ciclo Futuro Prossimo organizzato da Atelier dell’impresa ibrida.