Perchè l’impresa è ibrida

/Data
12.8.2020

/Titolo
Perché l'impresa è ibrida

/Autore
Annalisa Magone

/Risorse
• Il sito di Atelier dell'impresa ibrida
• L' articolo originale su Linkedin

/Tag
formazione, impresa ibrida, no profit

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A fine luglio, in un articolo pubblicato dal Corriere Buone Notizie, il segretario generale della Fondazione CRT Massimo Lapucci sottolineava l’importanza di accelerare «il processo di ibridazione tra profit e non profit così come tra filantropia, economia reale e finanza» per rispondere alla crisi di questi mesi con strumenti capaci di disegnare una strategia diversa per il futuro. Fin dai primi momenti del suo mandato da presidente alla Fondazione Compagnia di San Paolo ha parlato di ibridazione anche Francesco Profumo avanzando proposte in campo sociale, tecnologico, economico, finanziario, educativo. Le due grandi fondazioni torinesi sono sostenitori dell’Atelier dell’impresa ibrida che Torinonordovest ha lanciato insieme all’Opera Torinese del Murialdo qualche settimana fa.

Ibridazione e impresa sociale sono una coppia lessicale stabile (e suadente) da qualche anno, da quando è diventato chiaro che si trattava di trovare in fretta nuovi donors per tenere in piedi l’architrave del nostro “modo di vivere”. Senza il Terzo Settore, svaporerebbero molti dei servizi che – in modo gratuito o a pagamento o con un mix dei due – segnano la nostra vita di ogni giorno. A meno di non essere davvero abbienti, non avremmo svaghi di qualità da proporre ai nostri bambini, aiuto per accompagnare le persone anziane alla fisioterapia, sentieri di montagna tracciati a ogni inizio stagione, spettacoli musicali a prezzi popolari. Per stare a pochi esempi di base fra i mille possibili.

Al ragionamento sulla trasmutazione del Terzo Settore si sono accostati in molti e da diverse angolazioni, formando una costellazione di parole chiave – ricchissima e diversificata – e di strutture dedicate a sviluppare ricerca e progetti, ovvero opportunità e visioni. Da questo punto di vista la mia città, Torino, risulta particolarmente dotata di infrastrutture e protagonisti.

L’Atelier dell’impresa ibrida ha un suo posto lì in mezzo, con una proposta tratteggiata a carboncino.

Se ibridazione significa avvicinarsi a mondi diversi per lingua e cultura, la nostra idea è costituire una cassetta degli attrezzi per il buon progettista e gestore sociale, allo stesso modo in cui la costruiremmo per il progettista e il gestore dell’impresa in senso lato. E vorremmo metterci dentro assaggi di cultura d’impresa, disegno dei processi organizzativi, modelli finanziari per scovare e fare emergere il valore di attività e strutture, gestione delle risorse umane e delle squadre di lavoro, tecniche di stimolo della creatività, il rapporto con l’innovazione tecnologica quattro.zero.

Abbiamo messo tutto in un percorso di formazione di 6 settimane che si sviluppa in 3 mesi, da settembre a dicembre 2020.

Tutto digitale, con metodologia mista, nel senso che si svolge in parte live con la classe e i docenti, in parte in self-education, con materiali multimediali e un gran numero di esercitazioni. In realtà quest’ultimo è il tratto distintivo: da fruitore di formazione in dosi massicce, so che raramente si riesce ad andare oltre l’esposizione della teoria, l’illustrazione dello strumento e l’analisi di un caso studio… insomma si studia la realtà organizzativa di altri.

C’è poi che, nella formazione continua, il confine tra formazione e “consulenza” si va sfumando, come forse è inevitabile: come si può cogliere il punto di applicazione di un certo modello alla propria realtà, se non attraverso l’analisi esplicita (non allusiva) e il confronto diretto con docenti e colleghi di corso? Per questa ragione la metodologia formativa dell’Atelier è decisamente sbilanciata sulle esercitazioni – è una cosa che richiede molto più impegno che non ascoltare, ma è anche molto utile.

Per tutti gli iscritti che tengono duro, l’insieme delle analisi svolte comporranno un dossier, il dossier potrà esser formalizzato in un progetto, il progetto partecipare a una competizione, essere valutato anche da chi non si occupa solo di terzo settore e finanziato.

Il 2020 è l’anno del pivot; se l’esperimento funzionerà, lo ripeteremo correggendo gli errori e ampliando l’offerta.

Insieme alle Fondazioni torinesi, ci hanno creduto iBeHuman, UBI Banca, Iren, Fondazione Links, Fondazione CRC che ci sostengono con contributi e sponsorizzazioni. Ma si aggiungono Fondazione Cattolica Assicurazioni, GenerA-Azioni, Engim, Bricks for Kidz, Fondazione don Mario Operti, Pastorale Sociale e del Lavoro di Torino, Business Awareness Institute, Torino Social Impact, Aipec, 180 Degree, Polo del 900 che supportano il progetto da partner tecnici in diversi modi, tutti importanti. Infine il Comune di Torino e la Città Metropolitana di Torino, l’Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro e il Centro di cultura e studi Giuseppe Toniolo che ci hanno dato il loro patrocinio. Il progetto è parte della community Economy of Francesco come segnalato qualche giorno fa.